Il nome deriva da uno scambio di galanterie accademiche tra Dolomieu e de Saussure.
In pochi lo sanno, ma le Dolomiti hanno rischiato di chiamarsi Saussuriti. L’antroponimo Dolomiti, come più volte ricordato di recente in occasione dell’inserimento dei Monti Pallidi nella lista del «Patrimonio dell’Umanità» dell’Unesco, si riferisce infatti a Déodat de Dolomieu, scienziato, viaggiatore, avventuriero di fine Settececento, protagonista di una vera e propria «odissea alpina».
Dolomieu, infatti, nel corso dell’estate del 1789, anno decisivo per le sorti dell’Europa e del mondo, percorse ben 1.300 chilometri nell’esplorare quelle che sino a quel momento erano state definite le Alpi Veneziane. Sarà lui a rendere note ai grandi uomini di scienza dell’epoca le peculiarità orografiche e geologiche della catena montuosa che domina a nord la pianura veneta.
A colpirlo l’eccezionalità della pietra, un minerale iridescente che cattura al tramonto i raggi del sole illuminando di rosso punte e pinnacoli. Dolomieu ne invia campioni all’Università di Ginevra, a Nicolas-Théodore de Saussure, figlio di Horace-Bénédict, personaggio chiave nella scoperta delle Alpi ed, in particolare, del Monte Bianco.
Costui analizza la pietra, ne evidenzia le caratteristiche riconoscendola con la formula chimica MgCa(CO3)2, carbonato doppio di calcio e magnesio. Dolomieu apprezza talmente il lavoro del collega da proporgli di chiamare la roccia Saussurite. Nicolas-Théodore ringrazia e ricambia: nei suoi articoli cita il minerale come dolomite, ignorando, con un gesto di cavalleria accademica ben distante dalle consuetudini attuali, l’offerta del Dolomieu.
Da allora, le montagne più belle del mondo portano tale nome. La curiosa vicenda è riportata in un bellissimo volumetto di Marco Albino Ferrari, In viaggio sulle Alpi. Luoghi e storie d’alta quota (Einaudi, 236 pp., 13, 50 euro), un vero e proprio tour nel mondo alpino, condotto incontrando personaggi, storie, drammi, avventure, alla ricerca dell’attuale «riconoscibilità» di alcune zone ben specifiche della principale catena montuosa europea: dal Monviso al Gran Paradiso, dal Monte Bianco al Cervino, dal Monte Rosa all’Oberland Bernese, dall’Engadina alle Dolomiti sino alle Alpi Giulie.
Ritornando al capitolo dedicato alle Dolomiti, interessante appare l’analisi storica dello sviluppo turistico in zona.
A tale proposito decisiva fu la costruzione della Grande Strada delle Dolomiti, un vero e proprio sogno accarezzato da Theodor Christomannos, avvocato dalle evidenti origini greche, realizzato il 13 settembre 1909 con l’inaugurazione dell’incredibile opera. La lingua d’asfalto che ancor oggi collega Bolzano a Cortina, una delle vie automobilistiche più suggestive dell’intero continente, aprì una vera e propria epoca dominata dal turista.
Nacquero allora i grandi alberghi storici «Senza strada, nessun albergo. Senza albergo, nessuna strada!», soleva ripetere Christomannos – : l’Hotel di Misurina, la Christomannos Haus al Pordoi, per esempio, veri e propri miraggi per «l’autoturista», quintessenza dell’uomo moderno che, superando gli ostacoli imposti dalla potenza della natura, ricerca la propria libertà individuale.
Gli alti passi dolomitici, il Falzarego, il Giau, divengono un vero e proprio «universo amico, quasi domestico…una sorta di grande giardino compatto, uniforme, trattenuto in una fitta rete stradale». Un universo, che uno degli scrittori più amati dagli appassionati di montagna, Fosco Maraini, negli anni Trenta così descriveva. «Le Dolomiti sono fondamentalmente diverse dal resto delle Alpi, perché colpiscono l’occhio come cattedrali, castelli, fortilizi, campanili, minareti, faraglioni più o meno isolati e dispersi sopra un vasto intercalarsi di valli.
Pare infatti che le rocce si formassero originariamente su di un fondo marino, sollevato poi in altro da movimenti titanici della crosta terrestre. Qua e là restarono delle splendide, gloriose, incredibile rovine, alcune a forma di burbero maniero (il Pelmo), altre ad immagine di un onda pietrificata (il Civetta), altre ancora impersonanti fulmini o fiamme pietrificate (le Cinque Dita).
La più sublime delle cattedrali è data dalla triade delle Cime di Lavaredo». L’autore si chiede giustamente se tale assoluta bellezza, così ben evidenziata dalle parole di Maraini, sia ancora pienamente apprezzabile, dopo che gli iniziali ideali positivistici di Christomannos hanno lasciato spazio ad una vera e propria «foga costruttiva» che ha reso quelle stesse vie d’asfalto le strade più affollate d’Europa.
Il dibattito, a tale proposito, è aperto.
(Articolo di Alessandro Tortato per il Corriere del Veneto del 19 agosto 2009)
– Nella foto l’Arciduca Leopoldo Salvatore d’Asburgo-Toscana (Stará Boleslav, 15 ottobre 1863 – Vienna, 4 settembre 1931), arriva alla Christomannos Haus sul Passo Pordoi nell’inverno 1916, allora sede della K.K. POST UND TELEGRAFEN –