La storia del Caffè Manin, che affacciandosi sul nostro “listòn” (Piazza dei Martiri) ha servito da bere alle generazioni bellunesi.
Già a partire da metà Ottocento il Manin era diventato il principale luogo di ritrovo della borghesia bellunese dove «si parla di tutto, si sparla di tutti» (così scriveva”La Bolletta”, quindicinale umoristico diretto dalla Lega della Leva).
Ma esisteva già agli inizi dell’Ottocento «come bottega del caffettiere Guernieri». All’epoca si chiamava Caffè Scopici, che nel 1842 la rivista veneziana «Il Gondoliere» definiva «il Pedrocchi di Belluno», caffè-simbolo come il Florian di piazza San Marco.
Poi diventò Nazionale nel 1866 dopo l’unificazione del Veneto all’I talia, infine prese il nome attuale in omaggio al patriota veneziano Daniele Manin. L’edificio, di proprietà di Angelo Guernieri, giornalista ed editore, venne ereditato dalla famiglia Federici che cedette la parte dove c’era il caffè a Giuseppe Meneghini. Siamo nel 1882 e il caffè riapre ristrutturato.
Nel 1892 lo prende in conduzione Giuseppe Valt, che lo ristruttura nuovamente ma, scrive Bazolle, «sotto l’aspetto della speculazione, il Valt la fece magrissima». Il restauro costò molto, forse troppo per le esigenze e le abitudini di Belluno. Il Bazolle nel 1893 cita i lavori di ingrandimento con queste parole: «Questo caffè non è proporzionato alle abitudini e alle risorse di Belluno».
Valt lavorava a Lucerna in Svizzera in lavori stradali, sicché nel 1894 stipulò un accordo per la gestione con Alessandro Menegazzi di San Martino di Lupari. Valt lasciò il locale al nipote Antonio Dell’ Eva nel 1894, che lo affittò nel 1903 a due fratelli di Treviso, Renzo e Romolo Olivotti. Durante la prima guerra mondiale (lo documentano numerose fotografie d’epoca) divenne il ritrovo esclusivo degli ufficiali austroungarici con personale di lingua tedesca.
Nonostante i restauri che nel corso del Novecento «colpirono» il caffè e l’edificio ora di proprietà della Cassa di Risparmio, l’assetto interno resistette fino almeno all’avvento della fòrmica, quando la fregola della modernità ebbe il sopravvento rendendolo più anonimo e privandolo della patina che la storia aveva depositato su divanetti e poltroncine.
Nelle vecchie foto si distinguono bene gli arredi e la scala a chiocciola che saliva alla sala dove si giocava a carte e a biliardo, ben presenti nella memoria cittadina, così come i balli e i ricevimenti organizzati dal Circolo Manin.
Nel corso dei decenni, poi, il Manin passò di mano più volte, con diversi gestori e proprietari. Gli ultimi passaggi di proprietà vedono il Manin ceduto alla società La Genzianella Srl di Aurora Dalle Sasse di Lentiai e Aldo Ghedina di Cortina e poi, nel 1997, da questi alla Rovigest srl di Rodolfo Vittoria di Zoppè di Cadore, che però ha chiuso per problemi finanziari.
Dal 2010 a gestire il rinnovato Caffè c’è Mirta Zanolla, persona molto conosciuta a Belluno, che ha gestito negli ultimi anni la tabaccheria di piazza Martiri, oltre ad altri locali. Il locale è stato acquisito dalla “Segafredo Zanetti Worldwide Italia spa” (società appartenente al Massimo Zanetti Beverage Group), che a sua volta ha affidato la gestione a Mirta , «persona nota e professionista molto apprezzata nel mondo imprenditoriale bellunese», dicono dall’azienda bolognese.
La storia del Caffè Manin la si può leggere in due pregevoli libri.
Il primo è «Piazza dei Martiri-Campedel», a cura di Ivano Alfarè, Stefano De Vecchi e Ferruccio Vendramini, edito nel 1993 per iniziativa del Comune e dell’Isbrec (si veda in particolare il saggio di Giovanni Larese, «Cent’anni di botteghe»).
Il secondo è «Turismo e tempo libero in una città alpina», di Ferruccio Vendramini, edito nel 2000 per la Comunità montana Bellunese.
Quattro, scrive Larese, erano i locali storici ubicati al di fuori della vecchia cinta muraria: il Deon e il Manin in Campitello, il Commercio in piazza Vittorio Emanuele e il Vapore in piazzetta Santo Stefano. Il Commercio aprì nel 1866 come testimonia Antonio Maresio Bazolle nei suoi «Annali di Belluno» per iniziativa del «caffettiere» Luigi Pedante.
Compare nella Guida del 1887 di Ottone Brentari come «il caffè principale della città». Il Vapore fu invece aperto a Palazzo Barpo nel 1860 da Giuseppe Bortotti, vicino al luogo di sosta delle diligenze.
Quanto al Manin, Larese scrive: «Il vecchio Manin si presentava come un edificio a due piani con un elegante portico a colonne e cinque archi, preceduto da una profonda tettoia in ferro di stile liberty». Quella tettoia, ora scomparsa dalla piazza, è finita ad abbellire la vecchia villa Clizia a Mussoi.